La Compagnia teatrale Eco di fondo è lieta di presentare GHITA, storia della Fornarina IN FORMA DI LETTURA SCENICA
regia Giacomo Ferraù
con Giulia Bellucci
drammaturgia Simone Faloppa, Giulia Viana con il contributo di Giulia Bellucci e Giacomo Ferraù
con il sostegno di AMAT / Comune di Urbino
organizzazione Elisa Binda
ringraziamenti Tindaro Granata
“L’anima sua indubitamente se n’è ita a contemplare quelle celesti fabbriche
che non patiscono oppositione alcuna, ma la memoria et il nome restarà qui in terra
et ne lo pensiero e nelle menti de li huomini dabbene longamente.
Marco Antonio Michiel, 11 APRILE 1520
La notte tra il 6 ed il 7 Aprile di 500 anni fa, il mondo perdeva il divino pittore Raffaello Santi. Era un Venerdì Santo. Forse questa somiglianza con la morte di Gesù Cristo, forse la sua sepoltura nel Pantheon, unitamente al mondo artistico perfetto e sterminato che l’Urbinate ha regalato a tutte le generazioni successive, forse tutte queste cose insieme, hanno conferito al Pittore un’aura leggendaria simile a quella di una divinità. Accanto a lui, però, non vi è traccia di quella che, nella sua biografia o forse nella realtà, è stato il più grande amore: Margherita Luti, nota al grande pubblico come la Fornarina. Sarà proprio lei, la sua storia, a regalarci uno sguardo più “umano”
del divino pittore.
Lo spettacolo “Ghita” racconta un Raffaello inedito, umano, preda delle passioni, diviso, combattuto tra la carnalità dell’incontro amoroso e la sacralità più assoluta dell’arte. Il Dio mortale (cit. Giorgio Vasari) visto attraverso gli occhi di Margherita Luti, l’ultima amante e sicuramente la più famosa: La Fornarina.
Ghita racconta di un amore assoluto e potentissimo. Amore e morte insieme. Un sentimento universale mai completamente risolto, una perdita che non è lecito piangere, se non nel silenzio di un convento. Le lacrime agli occhi di Ghita, di fronte alla tomba del proprio amore scomparso appena 37enne. L’urlo di dolore che le lacera le viscere, quando vede che accanto al nome del suo amore, hanno inciso nella pietra il nome di una donna che non ha mai amato; e non il suo. La corsa di Ghita attraverso la città, derisa ed allontanata da tutti, preda della rabbia ed accecata del dolore. La sua scelta di chiudere il mondo fuori dalla porta del convento, o forse di chiudere sé lontano dal mondo. In ogni caso, la scelta di galleggiare nel bianco, per dimenticare i colori troppo accesi di un amore finito. Il convento dove lentamente, anno dopo anno, Ghita si spegne. Con i lunghi capelli bianchi che le scendono sulle spalle. Bianchi come la farina del forno in cui è cresciuta.
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