Discorso per il centenario raffaellesco
Desidero raggiungere con queste parole, anche a nome del Consiglio Direttivo, tutti i soci dell’Accademia Raffaello, gli abitanti di Urbino e le persone che commisuratamente alla dimensione universale della sua arte, si sentono convolte da tutto ciò che riguarda Raffaello Sanzio l’Urbinate. Non è mia intenzione dire quel che “sarebbe dovuto accadere”, che “era nei progetti”, che “volevamo fare”, ma “il terribile flagello” ha impedito. Il 6 aprile 2020, malgrado tutto sarà comunque quell’evocativo giorno che ricorda come da 500 anni, da mezzo millennio, ininterrottamente la nostra cultura deve fare i conti con Raffaello, un influencer dalla tenuta semimillenaria, inossidabile.
Per un mirabile incrocio di intelligenze, Urbino ha vissuto un Rinascimento al quale ha saputo dare una forma distinta, specifica, attraverso l’irripetibile eccentrica progettazione e costruzione del Palazzo Ducale, il luogo nel quale -alla raffinatissima corte di Federico da Montefeltro- ha operato di mano e di pensiero Piero della Francesca e dove hanno lasciato traccia sensibile fior di umanisti, poeti, pittori, scultori. Il milieu culturale che ha preso forma in questo mirabile Quattrocento ha preparato le migliori condizioni perché una natura artistica talentuosa non restasse isolata, ma potesse muoversi nello scacchiere delle città italiane con l’agio di un ‘salvacondotto’, un biglietto da visita di privilegio, l’essere un Urbinate. La sagacia di considerarsi in formazione permanente, le buone maniere cortigiane hanno fatto di Raffaello Sanzio un cosmopolita del suo tempo che non cessò mai di ricordare a tutti la sua provenienza: RAPHAEL VRBINAS.
La ricorrenza nell’anno 2020 di mezzo millennio dalla sua morte, avvenuta il 6 aprile 1520, mette ancora una volta sotto gli occhi del mondo una figura di Uomo eccezionale e la sua città entrambi a buon diritto patrimonio dell’umanità, l’uno senza bisogno di patenti ufficiali, l’altra per ventennale riconoscimento da parte dell’UNESCO.
Questa eccellenza italiana, che ha rappresentato un modello indiscusso per tutti i tempi del pensiero artistico da quel celebre 6 aprile 1520, costituisce ancor oggi un altissimo modello etico riuscito: il giovane di buone speranze e di straordinaria formazione, che si muove abilmente al di fuori della sua municipalità nei centri del mondo di allora e dalla cui esperienza nasce il mito del pittore insuperato per grazia, il modello di tutte le scuole artistiche del mondo, l’ambasciatore d’Italia più operoso per la durata della sua missione, ininterrotta da 500 anni e per la levatura di un’arte con la quale si sono dovuti misurare tutti nei secoli.
Quell’Italia che era al centro del mondo ai tempi di Raffaello, oggi ricorda la nascita di un mito, che porta con sé il patrimonio del suo tempo, consegnato alla posterità 500 anni fa.
Non è possibile cessare di additare Raffaello come un caso esemplare. Lo dico con insistito fervore ai giovani in formazione nelle scuole e nelle università: quel giovane gentile ha inseguito senza sosta il meglio per le proprie inclinazioni, ponendosi a confronto, mettendosi alla scuola dei migliori e costruendo intorno a sé una folta scuola coi più validi collaboratori preparando in vita la fortuna della propria arte, come un abile comunicatore sa fare. Se dovessi trovare un esempio in natura, Raffaello mi sembra non un astro solitario, ma la più bella stella di una costellazione; non è il genio isolato, ma è un uomo in relazione con gli altri, educato alle buone prassi dello stare insieme.
Le molte sollecitazioni di questi giorni mi hanno ripetutamente portato con la mente al più bel dipinto perugino di Raffaello, che solo per antico, mai risarcito misfatto si può ammirare oggi nella Galleria Borghese a Roma: la Deposizione Baglioni. Non so dire se siano gli occhi ad averlo suggerito al cuore o se il cuore non lo abbia portato agli occhi, ma è lo strazio di una vita spenta che disumanamente lacera i rimasti, e il pietoso energico sollevare un corpo senza vita per rendere l’ossequio della sepoltura, quel che si vede nell’istante fermato da Raffaello sulla splendida tavola. La Deposizione Baglioni è l’icona che vorrei associare a questo centenario soffocato, è l’immagine che vorrei rimanesse anche a voi: il bello sa rendere anche il dolorosissimo, ci angoscia, ma non ci dispera. Lego a questo dipinto anche un fatto personale, una delle più belle giornate raffaellesche di questo 2020 trascorsa a Roma i primissimi giorni di febbraio. Arricchito del bello e del bene delle amicizie, sono salito dalla Villa Farnesina alla Galleria Borghese, avendo l’opportunità di fermarmi, a tu per tu con la Deposizione, provvisoriamente collocata ad altezza d’uomo per alcuni interventi a cui è stata sottoposta. Se non fosse per la venerazione dell’oggetto che la ragione impone, lo slancio sarebbe subito scoppiato in un abbraccio …
L’augurio quindi, nel congedarmi da voi, che con me, con l’Accademia Raffaello, con l’Italia celebrate il mezzo millennio dalla morte di Raffaello, è di coltivare senza sosta la conoscenza delle sue opere e di fare del bello e del bene che esse trasmettono un’esperienza da condividere con gli amici e le persone care e da comunicare ancora tutti i giorni dopo la ricorrenza, sempre.
Luigi Bravi, presidente
Urbino, 6 aprile 2020
Quinto centenario dalla morte di Raffaello
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