«La Repubblica – recita l’art. 1 della Legge 92/2004 – riconosce il 10 febbraio quale Giorno del ricordo al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.»

 

Partendo da quella complessità, infatti, occorre avere presente che nelle terre giuliane il cosiddetto fascismo di frontiera mise in atto una politica violenta di snazionalizzazione nei confronti degli sloveni e dei croati: italianizzazione dei toponimi, dei cognomi, proibizione dell’uso della lingua slovena in pubblico, campi di internamento, assassinio di civili, stato di polizia e altro ancora.

 

A tale snazionalizzazione feroce, violenta e costante, durata decenni (l’incendio compiuto dai fascisti del Narodni dom, Casa della cultura slovena di Trieste, è del 13 luglio del 1920), ha corrisposto nel ’43 e nel ’45 una reazione violenta, di cui le foibe furono il frutto drammatico e sanguinoso, comportando l’uccisione di 5 mila persone.

Al pari di tutti i drammi avvenuti in tanti luoghi d’Europa durante la guerra mondiale, scatenata dal terzo reich e dal fascismo italiano, questa tragedia deve essere ricordata senza dubbio alcuno, ma avanzare il paragone o l’equiparazione con la Shoah, con lo sterminio di intere generazioni e popoli, nell’ordine di milioni e milioni di persone, rappresenta una vergognosa strumentalizzazione.

 

A conferma del dramma del confine italo-sloveno, basta recarsi a Gonars, piccolo comune della ex provincia di Udine, dove si trova, nel luogo di quello che fu un famigerato campo di internamento per sloveni e croati, un monumento funerario e una cripta sotterranea, ove sono disposte in preciso ordine cronologico le ceneri di 481 cittadini sloveni e croati: nomi e cognomi, luoghi e date di nascita di uomini, donne e bambini. E vicino a Gonars sta Visco, altro campo di internamento e altre vittime slave innocenti. Anche la Risiera di San Sabba, col suo carico di morti slavi, ebrei e resistenti, testimonia l’orrore della presenza del fascismo e del nazismo in quelle terre di confine.

 

Quando alla fine dell’aprile 1945, i partigiani jugoslavi arrivarono per primi a Trieste, avviarono la caccia al nemico, identificato non negli italiani in quanto tali, come gruppo nazionale, ma come fascisti e collaborazionisti, responsabili di decenni di oppressione e violenza.

 

Certamente il compito di oggi è quello di conoscere tutta la storia e di essere consapevoli della tragedia di tutte le vittime; ma non si può pensare di riproporre una politica nazionalistica verso i popoli confinanti, così come avanzato dalla destra sovranista e fascista.

 

Ripensiamo a ciò che è stato: dopo la prima guerra mondiale, l’Italia, vincitrice, inglobò nel proprio territorio 327 mila sloveni e 152 mila croati, ma, anziché scegliere la strada del rispetto per le minoranze, scelse quella dell’assimilazione forzata e brutale basata sull’annientamento del popolo slavo. Quindi non ci possono essere dubbi sul fatto che una simile politica riproponga oggi la strada verso la tragedia.

 

Noi invece scegliamo la via della pace, della giustizia e della concordia tra i popoli.

 

 

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