Pesaro e Urbino, aumentano i fallimenti delle imprese
Nel primo semestre aumentate le aziende che hanno portato i registri in tribunale. Sul dato regionale almeno un terzo sono della provincia pesarese
Quasi un terzo dei fallimenti di tutta la regione. In provincia di Pesaro e Urbino, la crisi continua a lasciare sul campo numerose attività che molto spesso sono costrette a portare i libri in tribunale.
Colpa della crescita che non arriva, della deflazione, degli effetti della crisi sui consumi e della stretta creditizia. Tanti i freni allo sviluppo delle piccole e medie imprese.
A livello regionale sono state 281 le aziende che sono fallite nel primo semestre del 2014; di queste si calcola che poco meno di un terzo abbiano la loro ragione sociale in provincia di Pesaro e Urbino con conseguenze pesanti non solo per i dipendenti rimasti senza lavoro ma anche per i creditori ed i fornitori. Una catena che a volte mette in difficoltà intere filiere produttive.
Secondo i dati Cribis, elaborati dal Cento Studi Sistema per la Cna Marche e Fidimpresa Marche, la maggioranza delle imprese fallite tra gennaio e giugno (29,2 per cento) apparteneva al comparto manifatturiero, in particolare mobile e moda. Nel 21 per cento dei casi si è trattato di esercizi commerciali, nel 16,7 per cento di aziende edili e nel 14,2 per cento di imprese dei servizi.
Se la crisi ha fatto aumentare i fallimenti, ha invece avuto l’effetto contrario su cambiali, tratte e pagherò dei pesaresi. Tra gennaio e maggio i protesti in provincia di Pesaro e Urbino 2.707 per un importo complessivo di 6 milioni e 917mila euro per una media di poco più di 2.500 euro a protesto.
I protesti hanno avuto un calo di circa il 31% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le somme protestate si sono addirittura dimezzate (-53,4%). I motivi? Secondo la Cna la crisi ha spinto i possibili creditori ad accettare con più difficoltà forme di pagamento ritenute non affidabili, mentre imprese e consumatori sono più cauti nell’assumersi impegni economici, anche a breve termine. Le imprese non si fidano più ad accettare in pagamento cambiali, tratte ed assegni e, in questo anno di crisi, c’è anche chi fa ricorso al fondo antiusura per non fallire e per resistere agli strozzini. Nei primi sei mesi di quest’anno, Fidimpresa Marche, il Confidi unico di emanazione Cna ha approvato 21 richieste di ricorso al Fondo per un importo di 388.500 euro. Di queste 4 pratiche sono state fatte in provincia di Pesaro e Urbino.
“Il Fondo antiusura – sostiene il presidente di Fidimpresa Marche Silvano Gattari – è l’ultima spiaggia per le imprese e prima di farvi ricorso, il nostro Confidi cerca di garantire i finanziamenti tramite i normali canali bancari per gli investimenti ed il credito veloce per la liquidità. Ma è sempre più difficile e lo dimostra la crescita di incagli e sofferenze. L’auspicio è quello di una immissione di denaro fresco della Bce verso gli istituti di credito mentre dalle istituzioni ci aspettiamo politiche di maggior sostegno per i Confidi che sono rimasti l’unico strumento di garanzia per i prestiti alle piccole e medie imprese marchigiane”.
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