“Ciascuno di voi si studi di far coro”. Queste parole di Sant’Ignazio di Antiochia – un padre della Chiesa, vescovo e martire del primo secolo dell’era cristiana – incontrate pregando domenica scorsa, mi hanno toccato e fatto riflettere. Le scrive in una lettera indirizzata ai cristiani di Efeso mentre li esorta ad operare in armonia con il vescovo. “In tal modo – aggiunge – nell’accordo dei vostri sentimenti e nella perfetta armonia del vostro amore fraterno, s’innalzerà un concerto di lodi a Gesù Cristo” (dalla Liturgia delle Ore della 2a domenica del Tempo Ordinario).
E ho pensato a quanto si sta agitando in queste settimane nel pesarese-urbinate dopo l’annuncio dell’unione dell’Arcidiocesi di Urbino- Urbania- Sant’Angelo in Vado a quella di Pesaro “nella persona del vescovo”.
(Il fatto che il vescovo coinvolto sia poi il sottoscritto è un caso: fino a nove mesi fa ero felicemente parroco di tre parrocchie – “triparroco” mi definivano scherzosamente – e di certo non immaginavo neanche lontanamente di trovarmi in mezzo a questa avventura!).
Fino ad oggi sono intervenute tante voci “fuori dal coro”, in gran parte ospitate dalle cronache locali, molte di esse – lasciatemelo dire – decisamente “stonate”, alcune perfino strampalate. Abbiamo letto interventi di politici di ogni orientamento e di esponenti della cultura.
Li ringrazio tutti per l’attenzione verso la Chiesa e per il ruolo che le viene riconosciuto, ma c’è un “ma…”. Tutti, chi più chi meno, manifestano un limite sostanziale: parlano della Chiesa con categorie mondane. Gesù Cristo, a cui sempre la Chiesa deve riferirsi come al suo fondatore, ammonisce i suoi discepoli dicendo che essi sono “nel” mondo, ma non sono “del” mondo (cfr. Gv 15,18-21; 17,9-14). In una Chiesa che è “nel” ma non “del” mondo, qual è il posto del cristiano? È certamente un tema decisivo che merita di essere approfondito a parte. E qual è il ruolo del vescovo? Ho l’impressione che in un’ottica mondana il vescovo viene immaginato più come un “principe”, simbolo di una presenza identitaria, che come un “pastore” che va incontro a tutti per comunicare la gioia del Vangelo. Certamente questa immagine principesca ce la portiamo ancora dietro come eredità storica di una cristianità ormai inesorabilmente perduta, ma che ostinatamente ci illudiamo di mantenere in piedi (ricordo quando ero piccolo che il pastore della mia diocesi era appellato “Arcivescovo e Principe di Fermo”).
In occasione della recente scomparsa del Papa emerito Benedetto XVI sono circolate di nuovo sue parole, scritte nel lontano 1969 quando era un giovane teologo, che suonano di una grande attualità, giustamente definite come “la profezia di Ratzinger”. Così rifletteva: “Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare molti degli edifici che aveva costruito nella prosperità. Poiché il numero dei suoi fedeli diminuirà, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. (…) Ma nonostante tutti questi cambiamenti che si possono presumere, la Chiesa troverà di nuovo e con tutta l’energia ciò che le è essenziale, ciò che è sempre stato il suo centro: la fede nel Dio Uno e Trino, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fattosi uomo, nell’assistenza dello Spirito, che durerà fino alla fine. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza (…) Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la sinistra e ora con la destra. Essa farà questo con fatica, il processo sarà lungo e faticoso (…) A me sembra certo che si stanno preparando per la Chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena incominciata. Si deve fare i conti con grandi sommovimenti. Ma io sono anche certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico, che è già morto, ma la Chiesa della fede. Certo essa non sarà più la forza sociale dominante nella misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la Chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà come la casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre la morte” (“La profezia di Ratzinger del 1969”, tratto da korazym.org).
Ora, cari amici e fedeli delle Chiese di Urbino e di Pesaro, l’unione delle nostre diocesi è segno di un passaggio epocale che siamo chiamati a vivere con l’intelligenza della fede, come ci esortano le lucide parole del giovane teologo Ratzinger. Sono disponibile a confrontarmi con chiunque lo desideri su questi temi e auspico che le pagine de “Il Nuovo Amico” – profeticamente nato decenni fa dalla collaborazione delle tre diocesi della metropolia – possano ospitare contributi a una riflessione che deve continuare. Sono convinto che ci attende una stagione nuova ed entusiasmante, tutta da scoprire. Personalmente impegnerò tutto me stesso per essere un pastore itinerante e nomade, per raggiungervi là dove vivete: risiederò il tempo stretto necessario nei “palazzi” e mi sposterò frequentemente, con la grazia di Dio, da una comunità all’altra, da un borgo all’altro. Uso un’immagine geometrica. Fino ad oggi abbiamo immaginato la diocesi come un cerchio con un centro, da domani sarà un’ellisse con due fuochi (Pesaro e Urbino, dove abiterò ex aequo). Sempre con un centro, che non è il vescovo, bensì Cristo.
+ Sandro Salvucci
Arcivescovo di Pesaro
Arcivescovo eletto di Urbino – Urbania – Sant’Angelo in Vado
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