Ormai da un po’ non ci sono più somme da stanziare per rispondere a bisogni concreti, per realizzare progetti (discussi, valutati e infine approvati), ma ci si adopera perché siano utilizzabili soldi resi disponibili – all’improvviso, per breve tempo e con vincolo di destinazione.
Così saltano i programmi di un’amministrazione, la gestione di paesi, la concezione più generale dell’intero territorio, e sebbene risulti già grave è nulla rispetto a quello che significa per la società: potere agire costantemente e esclusivamente sul filo di lana toglie valore al passato, priva di peso il presente e trasforma il futuro in scelte “prendere o lasciare”, giorno per giorno.
Ma in un momento di profonda penuria di denaro pubblico da spendere, come rinunciare a questi stanziamenti solo per difendere un metodo? È difficile battersi per un principio quando sull’altro piatto della bilancia c’è l’occasione di realizzare opere – più o meno – necessarie (poco importa che magari i progetti vanno presentati il 24 dicembre, approvati unilateralmente, con tanto di opposizioni e cittadini ignari…). Eppure e di nuovo, la politica dovrebbe essere la risposta, indicare la via e fornire gli strumenti agli amministratori per agire al meglio, a vantaggio del Paese, dei territori, dei cittadini.
M.S.
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