L’Ente nazionale per la protezione degli animali (Enpa) e la Lega Italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente (Leidaa) si costituiranno parte civile nel processo di Urbino contro nove persone, imputate, in concorso, del reato previsto dall’art.544 quinquies del codice penale, per aver promosso, organizzato e diretto il combattimento tra cani e cinghiali che si è svolto in un’azienda agricola di Cagli (Pesaro-Urbino) il 3 maggio 2014, con l’aggravante di averlo filmato. Due degli imputati dovranno anche rispondere di maltrattamento nei confronti di un cane di razza dogo argentino e di maltrattamento aggravato per aver sottoposto un cinghiale  “a sevizie e a comportamenti insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”, causandone la morte.

Il processo è l’esito di una lunga indagine, coordinata dalla Procura di Urbino e condotta dal Corpo forestale dello Stato e dal NIRDA di Roma, che ha coinvolto tre allevatori residenti nelle province di Perugia e Milano e sei proprietari di cani residenti in Lombardia, Umbria e Campania, alcuni dei quali riprendevano il macabro spettacolo con cellulari e telecamere. Parte di quelle immagini sono servite per identificare i partecipanti, altre sono state diffuse dalle forze dell’ordine suscitando orrore e ribrezzo nell’opinione pubblica: il cinghiale, rilasciato in una recinzione, veniva prima costretto da tre dogo in una zona senza vie di fuga, poi morso insistentemente e infine dilaniato con “l’aiuto” degli addestratori dei cani che lo reggevano per le zampe posteriori.

“Confidiamo – afferma Carla Rocchi, presidente dell’Enpa –  in una sentenza esemplare nei confronti di queste persone inqualificabili che si sono accanite su povere creature disperate. Solo una punizione severa e il discredito sociale che la accompagna possono colpire questi individui e additarli alla pubblica riprovazione. Le battaglie legali intraprese da Enpa hanno dato grandi risultati, per i quali siamo riconoscenti alla magistratura sempre più attenta e sensibile nel sanzionare reati odiosi. Abbiamo grande fiducia”.

“Dinanzi a barbarie come questa – osserva l’on. Michela Vittoria Brambilla, presidente della Leidaa – il nostro dovere è intervenire nel processo e fare tutto il possibile perché i responsabili siano puniti con il massimo rigore. Purtroppo le bande criminali percepiscono i combattimenti tra cani come un’attività lucrosa e a basso rischio. Ecco perché servono pene più severe e perché occorre trasformare in certezza il rischio di finire effettivamente in galera. La proposta di legge che ho depositato alla Camera prevede non soltanto l’inasprimento delle sanzioni penali per gli organizzatori ma anche la punibilità di chi partecipa a qualsiasi titolo. Chi assiste a simili spettacoli sa di alimentare un business macabro e cruento, a scapito di animali resi “feroci” da esseri umani “feroci” davvero”.

La prima udienza è fissata per il 14 novembre 2017. Gli organizzatori dei combattimenti rischiano, senza contare le aggravanti, la reclusione da uno a tre anni e una multa fino a 160 mila euro.

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